Ci racconti la tua esperienza? E’ stato difficile?
La mia è una situazione particolare perché ci è stato proposto di trasferirci e noi abbiamo accettato. L’azienda si è occupata di tutte le pratiche burocratiche e dei documenti necessari per il trasferimento, tra i quali il visto. Per tutto il resto, come trovare casa o aprire un conto corrente, ci siamo dovuti muovere noi ma siamo stati abbastanza proattivi, abbiamo cominciato a fare i nostri giri di telefonate quando eravamo ancora in Italia e una volta atterrati nel giro di due giorni avevamo già trovato un appartamento.
L’attesa che la solita burocrazia facesse la sua strada è stata snervante. Abbiamo aspettato per otto mesi che arrivasse il visto, e durante quei mesi abbiamo vissuto letteralmente con gli scatoloni in casa, in un’atmosfera di sospensione e attesa che non dimenticherò mai. Il giorno in cui ci chiamarono per avvisarci che i documenti erano pronti ero alla mostra di Steve McCurry a Roma – sono un’appassionata di fotografia – e per poco non mi pigliava un colpo. Altro piccolo colpo di scena lo abbiamo vissuto quando abbiamo dovuto far salire i nostri porcellini d’India a bordo con noi sull’aereo. Per gli USA non era necessario alcun documento perché i guinea pig sono considerati animali da compagnia, ma per le compagnie aeree italiane sono considerati “esotici”. Ci fecero aspettare un’ora per effettuare tutti i controlli, una lunghissima ora durante la quale abbiamo temuto di rimanere a terra. Ma una volta preso quell’aereo tutto è filato liscio. Adesso ridiamo di quei momenti.
Mentalità, cultura, vita quotidiana, che differenze sostanziali ci sono col nostro paese?
Ci sono diversi aspetti della cultura americana che apprezzo. Prima di tutto, come dicevo prima, mi piace il fatto che sia multiculturale. Lavoro con persone provenienti da tutto il mondo e in un ambiente che rispetta le diversità e le considera un arricchimento. Un paio di anni fa mi è capitato di dover preparare una presentazione in Powerpoint sulla mia città natale, Taranto, per un meeting di aggiornamento con il mio team. Ancora oggi mi fanno domande sui panzerotti e sulla tarantella, e io cerco di insegnare loro un po’ di dialetto tarantino. Sono molto curiosi. Mi piace l’eterogeneità delle persone con le quali lavoro. Mi piace che un ingegnere possa venire in ufficio con un tatuaggio sul collo o che una designer possa tingersi i capelli di turchese senza che nessuno dica nulla. Mi piace che tu possa decidere ogni singolo ingrediente del tuo panino perché hai un menù con trenta ripieni diversi. Mi piace la loro spericolatezza nel vestire, mi diverte imbattermi in qualcuno che va a fare la spesa con i pantaloni del pigiama. Mi piace la loro indipendenza, il fatto che a vent’anni molte volte i ragazzi vadano già ad abitare da soli e che gli stagisti vengano pagati. Mi piace prenderli in giro perché cercano di cuocere la pasta nella stessa pentola insieme al sugo e condiscono qualsiasi piatto con il pollo (spaghetti o pizza, mettono pollo dappertutto), ma mi diverto quando a loro volta mi prendono in giro perché parlo ad alta voce durante i meeting o perché gesticolo al telefono.
Ci sono però alcuni aspetti che non riesco ancora a capire per quanto mi sforzi e cerchi di mantenere una mentalità aperta. Tra questi potrei elencare l’abuso delle armi da fuoco, il sistema sanitario, i costi dell’istruzione. Sono fortunata ad essermi trasferita in Massachusetts che è uno degli stati più liberal e progressista. Non è di certo il Texas. Qui per esempio anni fa l’Obamacare non ha fatto fatica ad essere applicata. Ma è sconfortante sapere che c’è chi non può permettersi di avere cure o che ha paura di andare al pronto soccorso per non vedersi recapitare la fattura a casa. Qui negli USA c’è davvero il rischio di andare in bancarotta se ti trovi a dover fare un’operazione di emergenza e non hai una buona assicurazione sanitaria, che nella maggior parte dei casi è fornita dal datore di lavoro.
E infine che aspettative hai per il futuro? Rimarrai negli USA o tornerai in patria?
Non penso che tornerò presto in Italia in maniera definitiva. Questa avventura è nata da una scommessa con me stessa e voglio vedere come si sviluppa nel tempo, ci sto mettendo molta passione e spero che possa dare dei buoni frutti. La mia famiglia mi manca molto ma più che la speranza di tornare spero che vengano loro a trovarmi presto. Magari anche solo temporaneamente, ma vorrei che anche loro vivessero questa esperienza. E poi, mai dire mai. Non so dove sarò tra cinque anni.
In bocca al lupo!!!
Potete seguire Cinzia sul suo blog, su Twitter e su Instagram, dal quale sono state tratte tratte queste foto.